Nel 1875 l’assiriologo britannico George Smith, (peraltro il primo ad individuare anche il Poema di “Atraḫasis”) scoprì, nella Mesopotamia settentrionale, la Famosa Biblioteca del Re Assiro Assurbanipal II (884-859a.c.), nella quale il sovrano aveva fatto ricopiare e conservare i testi più importanti della Letteratura Mesopotamica. La Biblioteca conteneva circa 25.000 tavolette di argilla che furono trasportate al British Museum di Londra, tra cui vi erano anche le Sette Tavolette contenti quella che poi si sarebbe rivelata la “Genesi Babilonese” dell’Enuma Elish.
La versione originale di questo poema, è di data incerta e di autore totalmente sconosciuto, poichè presso i babilonesi non si teneva conto della paternità delle opere letterarie di nessun tipo. Col tempo quest’opera è stata modificata in qualche particolare, e ad oggi ne sono giunte a noi quattro diverse versioni:
⦁ Neobabilonese: L’epoca di composizione è fissato dagli studiosi probabilmente al XIII o al XII secolo a.C., al tempo della prima dinastia di Babilonia, ma non vi sono riferimenti certi;
⦁ Neoassira: Le tavolette più antiche (1000 a.C.) sono state trovate ai tempi in cui fioriva la capitale di Assur, ma con un’unica “variante“, che consiste nell’edizione sotto il regno di Sennacherib (VII secolo a.C.). L’investitura del potere temporale assiro avvenne tramite la revisione del mito che condensava la tradizione teologica dei popoli sottomessi. Ma l’audacia degli Scribi di Sennacherib non si spinsero oltre la sostituzione del nome dell’eroe Marduk e dei suoi consanguinei con quelli del loro dio nazionale Assur e di quelli della sua cerchia divina. Redazioni più recenti (650 A.C.VII secolo A.C.) provengono invece dalle biblioteche di Assurbanipal di Ninive, a Kish e a Sippar; altri invece la collocano nell’VIII secolo, al tempo del re assiro Tiglatpileser III, che dominò anche su Babilonia, e individuano l’autore in un assiro e non in un babilonese.
⦁ Prebabilonese: I ritrovamenti scritti in lingua accadica risalgono all’incirca al 1750 a.C., all’epoca di Hammurabi, sesto Re della I Dinastia Babilonese, di cui si conosce solo un piccolo frammento rinvenuto negli scavi di Kish. Ma anche i frammenti più antichi, di epoca prebabilonese, non possono comunque essere più antichi del regno di Hammurabi periodo storico nel quale Marduk fu proclamato Dio Nazionale.
Testo sacro dei Babilonesi, vecchio di 4.000 anni, L’Enuma Elish viene considerato per un secolo, da quando è stata decifrata la scrittura cuneiforme sulle tavolette di argilla, pura mitologia. Ma dal 1976 divenne oggetto di accesi dibattiti in seguito alle ricerche del professor Zacharia Sitchin (storico e traduttore) ed altri sumerologi e astrofisici che formularono una nuova ipotesi, ad oggi ancora NON CONFUTATA, secondo la quale l’Enuma Elish altro non è che la descrizione in forma epica della formazione primordiale del “Sistema Solare” e dell’attuale “Via Lattea” avvenuta circa 5 miliardi di anni fa, da non confondere, però, con la Creazione dell’Uomo la quale viene narrata in un altro poema “Atra Hasis” che narra della Genesi dell’Adamo e del Grande Diluvio.
Quale, tra i numerosi piccoli felini selvatici che vivono in Europa, Asia, Africa o America, avrà dato origine al gatto domestico? In quale periodo sarà avvenuta la domesticazione? La risposta a queste domande non è ancora sicura: vi sono infatti moltissime ipotesi.
Alcuni Fossili attestano la presenza del gatto in tempi antichissimi. Ossa di gatto risalenti a 10.000 anni fa, per esempio, sono state ritrovate assieme a quelle di altri animali in una grotta sui Monti Sandia, nel Nuovo Messico. Reperti archeologici di 8.000 anni fa, venuti alla luce nell’Anatolia sud-occidentale, ci dimostrano che a quell’epoca tra l’uomo e il gatto vi era già amicizia. La paleontologia, tuttavia, può accertare la presenza di un animale in un certo periodo, ma non aiuta a stabilire quando iniziò l’addomesticamento.
Arte orientale
In Oriente i gatti hanno sempre goduto di molta considerazione da parte degli artisti, dalla Persia e dall’India fino alla Cina divennero simboli di potere e comando. Man mano che si diffondeva verso est il gatto domestico conquistava un posto nell’arte.
Gatto dell’Antico Egitto.
Le prime rappresentazioni pittoriche sono quelle che lo immortalano nelle vesti di una divinità, nell’antico Egitto, e da qui probabilmente trae origine il suo atteggiamento altezzoso e impertinente. Animale sacro nell’Antica civiltà Egizia, il gatto veniva venerato e rappresentato, bellissimo e regale, in numerosi manufatti ed opere d’arte. Sono tante le antiche statuette feline provenienti dall’Antico Egitto: alcune di queste erano oggetti votivi, altre delle vere e proprie urne per piccole mummie di gatti. Quella in foto è una statuetta bronzea databile al periodo 722-332 a.C, conservata oggi al Museo Egizio di Torino.
La dea Bastet o Bast era un’antica divinità della mitologia egizia raffigurata generalmente con il corpo di donna e la testa di gatto: una divinità dai tratti solari, simbolo della vita, della fecondità e della maturità, venerata per la sua forza e la sua agilità. Per ottenere un favore dalla dea Gatta gli Egizi avevano la consuetudine di offrire del pesce prelibato al proprio gatto, che amavano tenere in casa, vezzeggiato e trattato con ogni riguardo.
Talmud Babilonese
Non ci è giunta nessuna testimonianza di pitture o sculture Assiro Babilonesi che attestino o neghino l’esistenza dei gatti in quel periodo: sono stati rappresentati cani, tori e leoni, ma non c’è traccia di questi felini. Solo l’ antico Talmud Babilonese, uno dei testi sacri dell’ Ebraismo, redatto in aramaico nelle accademie rabbiniche della Mesopotamia, tra il III e il V secolo, tra i suoi insegnamenti civili e religiosi parla delle ammirevoli qualità dei gatti e ne incoraggia l’allevamento“per aiutare a mantenere pulite le case”.
Arte Araba
I musulmani tenevano il gatto in grande considerazione perché animale di Maometto, secondo un’antica leggenda. Le immagini dei gatti provenienti dal Medio Oriente sono molto rare perché l’Islam non ammette il concetto di arte figurativa. Nei dipinti di anonimi artisti ottomani del Trecento sono raffigurati gatti domestici in scene della Bibbia ma in ruoli secondari. Nell’arte orientale i gatti più ritratti sono quelli bicolore e gli squama di tartaruga con bianco, probabilmente perché i preferiti dai viaggiatori dell’epoca.
In India
In India il gatto è simbolo di nobiltà e ricchezza. La maggior parte delle opere artistiche che ritraggono questi felini sono di natura religiosa, come ad esempio un’opera che ritrae la dea della fertilità Shashthi a cavallo di un gatto.
In Thailandia
I thailandesi hanno sempre amato i gatti tanto che dipingevano magnifiche scene su papiri per illustrarne la varietà di colori e forme. Le numerose copie manoscritte dei Cat Book Poems, risalenti al Cinquecento, rappresentano gatti pointed e dai tanti colori. Durante la Dinastia Sung (960/1279) i gatti comparvero per la prima volta nell’arte cinese come simbolo di corte e prestigio, come nell’opera “Commedia Primaverile” in un giardino Tang che raffigura micetti che giocano tra i fiori. Nel Cinquecento il gatto diventò un soggetto comune negli smalti e nelle lampade di porcellana.
In Giappone
Nei dipinti e nelle xilografie dell’antico Giappone compaiono i gatti a squama di tartaruga in compagnia di bellissime donne. L’artista più rappresentativo fu Utagawa Kuniyoshi (1797/1861) che dipinse gatti con estrema precisione, la sua opera più celebrè Cinquantatre stazioni di Tokaido, dove ogni stazione è rappresentata da un gatto.
Nell’arte Americana
Nelle opere americane il gatto non era che una figura secondaria presente occasionalmente in quadri d’arte popolare. Ma l’inizio del Novecento segnò una nuova era, gli artisti americani scelsero spesso proprio i felini come soggetti delle loro opere. In America verso la fine dell’Ottocento il gatto non è più simbolo di paganesimo ma diventa simbolo di bellezza e modernità. I gatti sono ritratti nelle opere spesso in compagnia di bambini. L’opera più famosa a tema felino è Cats and Kittens di Daniel Merlin (Francia, 1861-1933) che raffigura una scena domestica con una gatta e i suoi cuccioli.
Nell’arte Europea
In epoca greco-romana i gatti passarono in secondo piano dopo leoni e tigri.
Cipro
E’stata scoperta una tomba risalente al 7.500 a. C. nella quale fu seppellito un gatto selvatico accanto a un essere umano.
Erotodo e Antica Grecia
Nell’ antica Grecia il ruolo del gatto non fù mai così importante come quello del leone o del cane. Il gatto si ritagliò però un piccolo spazio nella letteratura greca di Erotodo (484-430 a. C.) che lo descrisse con senso favolistico e gusto estetico. Erotodo raccontò anche l’arrivo e la diffusione dei gatti in Grecia grazie ad abili mercanti che li rapirono agli egiziani causando non pochi incidenti diplomatici tra i due paesi. Persi i privilegi ed il suo ruolo divino, arrivando in Grecia il gatto venne apprezzato più come animale curioso, da compagnia, ma non come animale da utilità, poichè per la caccia ai topi si preferivano le piccole e fameliche donnole, solo più tardi si capì che il gatto poteva essere più adatto a questo scopo.
Antica Roma
Se i Greci furono i primi ad importare il gatto dall’Egitto, i Romani lo conobbero molto più tardi, ma ne seppero apprezzare subito le doti sia come animale da lavoro che da compagnia. In particolare negli scavi di Ercolano e Pompei, importanti città di epoca romana, sono stati rinvenuti resti di ogni genere di animale, ma non del gatto a dimostrazione che i felini, animali arguti, fuggirono alle prime avvisaglie del terremoto, mettendosi in salvo. Ma la loro esistenza è testimoniata dal ritrovamento di un mosaico che raffigura un gatto mentre afferra un volatile.
Su un pannello musivo rinvenuto della casa del Fauno di Pompei, risalente al II secolo a.C., oggi al Museo Archeologico di Napoli, un piccolo gatto, in una forma antica di natura morta, azzanna un volatile per divorarlo. Piccolo e agile, il felino di epoca romana sta in realtà rubando dalla dispensa la cacciagione, ma è qui rappresentato con occhi dolci e con tenerezza che suggeriscono l’amore e l’indulgenza per il gatto, ormai già animale domestico.
Antica Francia
Numismatica: Medaglia francese del 1968 con gatto. Sul dritto è rappresentato il muso di un gatto in basso rilievo visto di fronte. Sul retro è raffigurato un gatto in primo piano che doma un cobra. Sullo sfondo si stagliano le piramidi con i due simboli del sole e della luna e la scritta “Ami du Soleil Venu de la Nuit des Temps”.
Alcune tradizioni del Nord Europa prevedevano il seppellimento di gatti,vivi, nelle fondamenta della casa, in modo che il loro spirito potesse poi vegliare su chi abitava all’interno delle mura e in Poloniaerano arsi vivi durante alcune cerimonia nuziali, come simbolo di buon augurio.
Quando si parla della figura di Yahweh ogni risorsa comunemente disponibile é strettamente legata alla tradizione biblica o, nei rari casi più antichi, alle manifestazioni del culto yahwista di poco precedente l’ epoca comunemente accettata per l’ origine dei libri biblici. Pur se i racconti della bibbia, in particolar modo l’ Esodo, si riferiscono a tempi di molto precedenti la redazione dei libri, e quindi si colloca il personaggio Yahweh in quei tempi, per trovare traccia scritta del nome di Yahweh in una lingua standardizzata bisognerà aspettare il VII secolo a.C. e stranamente il nome é scritto non in elamita o aramaico ma in assiro. Per intenderci, l’ Esodo che é stato collocato dai vari autori tra il 15e il 13 secolo a.C., ci presenta l’ esordio del nome di Yahweh, ma il libro che tratta di quest’ esodo é stato scritto circa 7 secoli dopo, dunque la testimonianza scritta del nome e della figura di Yahweh é relativamente recente rispetto a tutto l’ arco storico biblico. Ciò rende difficile inquadrare la figura di Yahweh nel contesto della fase iniziale della storia del popolo di Israele, poichè nei secoli in cui si sarebbe verificato l’ esodo non ci sono testimonianze scritte riguardanti Yahweh stesso. Se il personaggio Yahweh viene messo in relazione alle divinità semitiche dell’ ovest i cui nomi compaiono spesso nelle iscrizioni canaanite, aramee, babilonesi ed ebree (per esempio Ya, Yami, Yauwilum, Yaw) é possibile che si tratti di una delle divinità canaanite minori presenti in tavole cuneiformi ritrovate a Taanach e risalenti sicuramente a prima del 20 secolo a.C.; eppure non esistono prove conclusive e definitive di testimonianze di scrittura cuneiforme del nome Yahweh prima dell’ 8 secolo a.C. Tuttavia sembra che Yahweh sia stato una delle divinità del deserto adorate dai Keniti prima di essere incontrato da Mosè nel periodo dell’ Esodo. Ciò ci giunge da un documento nel ‘regno del nord’ nel libro dell’ Esodo, e dalle tradizioni sacerdotali successive. D’ altra parte nella narrativa giudaica si afferma che il personaggio Yahweh fosse conosciuto agli antenati di Israele sin dai tempi di Enoch. Si noti comunque che si tratta, come già detto, di una letteratura ‘postuma’. Le narrative di questo genere non spiegano come mai i regni del nord, non immersi nel Yahwismo fino al periodo dell’ Esodo, dovessero far risalire l’ origine del culto Sinaitico proprio a Yahweh. Se in fin dei conti, nel periodo risalente a circa il II millennio, i regni del nord di Israele non avevano un culto di Yahweh paragonabile a quello che aveva Mosè nel XV secolo, perchè questi stessi popoli fanno risalire a Yahweh il culto del Sinai? Una analisi di questa problematica viene affrontata dal professor H. Rowley il quale afferma che furono solo le tribù che condivisero l’ esodo con Mosè ad affermare e condividere il culto yahwista, ma nemmeno lui stabilisce un perchè. Ad ogni modo le narrative canaanite e giudaiche ci presentano la figura adorata nel culto yahwista come una figura profondamente diversa, per esempio, da quella di Osiride in Egitto o Tammuz e Marduk a Babilonia, o ancora Aleyan-Baal a Canaan. Fu solo quando la Palestina divenne ufficialmente la ‘terra di Yahweh’ che le tradizioni ebree e canaanite vengono assimilate come a formare il risultato di un miscelamento di tradizioni paragonabile a quello che si ha tra invasori e indigeni. Nell’ invasione ebraica nelle terre canaanite, gli ebrei impararono da loro le tradizioni agroculturali e ‘tecnologiche’ integrando la tradizione canaanita con la propria dottrina religiosa spirituale. Questo interscambio di culture e tradizioni produce l’ avvento di un culto sinaitico marcatamente rivolto a tradizioni di fertilità, creando una sorta di parallelo con le altre figure divine presenti in Mesopotamia. Ma quanto possiamo fidarci delle testimonianze del I millennio a.C. che descrivono il culto di Yahweh già in periodi risalenti al II millennio o ancora precedenti? Una traccia dell’ origine di Yahweh a mio avviso è rimasta in alcune frasi riportate nell’ Esodo. La frase che Yahweh pronuncia a Mosè: “Ad Abramo e Isacco mi presentai come El Shaddai […] ma il mio nome Jahwe loro non conobbero” ci riporta alla mente che la figura di El Shaddai era un ‘dio delle Montagne’ e del deserto, coerentemente con quanto tramandato dai regni del nord di Israele che lo propongono come divinità presso i Keniti. Questa tribù era provveniente dall’ asia minore e viene descritta come ‘gente abile nella lavorazione dei metalli’. Se si ritiene veritiera questa identificazione dei Keniti, la presenza di Yahweh (sotto altro nome) nella loro tradizione precedente l’ epoca di Jethro e Abramo può permetterci di ipotizzare che il culto di questo ‘proto-Yahweh’ venisse dalle regioni mediorientali più a est, quasi ai limiti dell’ Anatolia. Questa serie di considerazioni e testimonianze provvenienti dalla tradizione si ricollegano ai concetti espressi nell’ articolo riguardante la ‘Nascita di Jahweh’ , in particolar modo rafforzando quanto in quell’ articolo detto sulle figure di Ish.Kur ed Enlil.